ci sono due cose che nessuno ti potrà mai strappare: ciò che sei e ciò che sai.

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domenica 19 luglio 2015

Il 10 marzo 2009, davanti alla Corte d'assise di Firenze che lo stava processando per la fallita strage del novembre 1993 allo stadio Olimpico di Roma, il boss dei boss di Cosa Nostra, Totò Riina, ha reso una deposizione che contiene in realtà 'strani messaggi' che potrebbero interessare i protagonisti occulti della stagione delle bombe e delle stragi di Firenze Roma e Milano, e della stessa trattativa Stato-Mafia. ''Signor presidente, la verità è che io forse allo Stato servo per parafulmine, perché tutto quello che succede in Italia... si imputa a Riina... Riina sta bene per tutte le pietanze, per tutte le processe che si vengono fatte a Riina o ai compagni di Riina. Quindi che cosa succede? Parlo di questa situazione qua di Firenze, ma se io sono lì (isolato in carcere ndr) che non ho contatti con nessuno, a chi lo mandai a dire, come lo mandai a dire, come sono ideatore, come lo ideai?'' Riina parla anche della strage di Capaci e fa riferimento ad un misterioso ''aereo nel cielo nel mentre che scoppiava la bomba. Questo aereo non si può trovare di chi è, allora quindi si condanna Riina''. Poi parla anche della strage di via D'Amelio che costò la vita a Paolo Borsellino ed agli agenti della sua scorta: ''Lì sul monte Pellegrino c'è l'hotel, e nell'hotel ci sono i servizi segreti e quando succede che scoppia la bomba i servizi segreti scompaiono, però non vengono mai citati perché si condanna a Riina, perché l'Italia così è combinata...''. Con chiaro riferimento al castello Utveggio, sul monte Pellegrino, che all'epoca della strage ospitava una sede del Cerisde, una filiale coperta del Sisde, che però ha sempre negato che vi lavorassero uomini dei servizi sotto copertura. ''Cioè quando Scalfaro dice ''io non ci sto'', io devo dire, Signor Presidente, ''io non ci sto!'' a queste condanne così. Queste sono condanne di Stato, fatte a tavolino. Non sono condanne perché si cerca la verità, perché io ho commesso questo delitto o ho fatto commettere questo delitto'': si lamenta Totò Riina. Nella sua deposizione 'il capo dei capi' parla anche di Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito, notando che: ''non è stato mai citato, mai sentito'', eppure ''era in contatto con il colonnello dei carabinieri e l'allievo di quelli che mi hanno arrestato... Perché questo Ciancimino che collaborava con 'sto colonnello non ci viene a dire il perché cinque, sei giorni prima l'onorevole Mancino (allora ministro dell'Interno, ndr) ci dice ''Riina in questi giorni viene arrestato'': ma a Mancino chi ce lo disse, cinque giorni prima che io venissi arrestato? E allora ci sono dei signori che mi ha venduto? Allora cercare la verità non è che significa commettere delitti, la verità sta bene a tutti, Signor Presidente, può stare pure bene a me, ma perché mi si deve condannare per le cose che io non so, che io non ho commesso e che io non ho fatto? Io, Signor Presidente, ringrazio a lei e alla Corte per avermi sentito, però mi sento la persona additato per dire: ''tu sei il parafulmine dell'Italia! Tu devi pagare il conto di tutti!'' .

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